Il primo ritiro in Tailandia
29/01/1985
Un monastero non è fatto solo di pietre, può esserlo e forse di più, anche di linfa verde. Già, un monastero fatto di linfa verde, di foresta, di foglie, un luogo dove pregare e meditare e crescere, come fanno gli alberi, un posto sempre uguale ed ogni volta diverso. Wat Suan Mokkh era ‘solo’ questo, per ora ... (e senza materasso!)
A monastery is not just made of stones, it can be and perhaps more, even of green sap. Yes, a monastery made of green sap, of forest, of leaves, a place to pray and meditate and grow, like trees do, a place that is always the same and different every time. Wat Suan Mokkh was 'just' this, for now (but without a mattress!)
(…) La ragazza telefonò al monastero e arrivò il pickup che ci portò a destinazione. Curiosità era la silhouette arancione di un monaco sorridente che ci aspettava all’entrata del Wat: abate dagli occhi penetranti, con sopracciglia e testa rasate. Chiese subito denaro e passaporti da riporre nel luogo sicuro. Il monastero non aveva recinzioni. Wat Suan Mokkh era in mezzo alla foresta: templi decorati, statue, case per i monaci disseminate tra il verde dell’erba e gli alberi, grandi radure circondate da palme, alberi di papaya e banani, scimmie acrobate che saltavano di ramo in ramo, laghetti infestati dai fiori di loto. Viottoli e sentieri diramavano ovunque tra jungla abitata dai King Cobra e ogni tipo d’insetti. Aria percorsa da un sibilo quasi costante: quel suono si propagava ovunque, senza capire da dove arrivasse. Luogo di natura e spettacolo: Suan Mokkh. In certe ore del giorno i canti tonali dei monaci creavano atmosfera ipnotica e magica.
Abate vide che mancava una falange nel dito di Vittorio e chiese spiegazioni. Lui rispose che aveva nuotato nel mare di Pukhet e si era perso al largo, trasportato dalle correnti marine. Avvistato da una barca di pescatori e tirato a bordo con l’aiuto di una cima. Mentre saliva lungo il fianco della barca l’anello che portava al dito s’impigliò in una protuberanza dello scafo … nel mentre i marinai issavano a forza il nuotatore: falange decise di restare lì appesa. Il monaco disse a Vittorio che poteva guardare l'episodio come un segno di cambiamento. Il fardello di karma deposto, il debito pagato, un occasione di rinnovamento per la sua vita.
Monaci desinavano all’aperto, sotto un tempio dalla grande volta, dove scheletro bianco di donna minuta e incatenata era appeso alla volta di legno. Raccontavano fosse di un'antica principessa thai che decise di lasciare ammonimento ai posteri sulla decadenza delle cose, deperimento e morte, verso i quali siamo tutti destinati. Accompagnati dentro una grande sala, eravamo quasi cinquanta studenti in massima parte stranieri. Dal centro del tempio un monaco panciuto parlò in lingua. Avvenne simultanea e incerta traduzione in inglese di un novizio, ricca di pause. Si capiva che voleva augurare benvenuto e spronare gli studenti alla meditazione.
Il panciuto monaco si chiamava Buddhadasa, molto famoso in Tailandia. Una sorta di rivoluzionario, che vedeva dentro specchio di un Dharma unico le religioni di tutto il mondo. Per lui Buddismo, Cristianesimo e Islam non esistevano e quindi non potevano entrare in conflitto. Negli anni 20’ evitò ritualismi e politica interna che dominavano insegnamenti del Buddha corrotti, cercando di preservarli nella loro purezza, riformandone alcuni aspetti. Durante un periodo ispirò anche una cerchia di artisti socialisti. Nel 1932 fondò il Monastero della Chiara Comprensione: Wat Suan Mokkh, si focalizzò in particolare su un lato della pratica meditativa: Anapanasati, cioè la respirazione consapevole, il raggiungimento del Samadhi.